Licanìas 2023

MURI

A poco più di trent’anni dall’abbattimento del Muro di Berlino, evento che secondo il politologo americano Francis Fukuyama avrebbe dovuto segnare non solo la fine del Novecento, il cosiddetto Secolo breve, ma anche la fine della Storia, questa ha ripreso la sua corsa: che in realtà come testimoniato dalla guerra civile nell’ex Jugoslavia, dall’11 Settembre e dalle guerre del Golfo, dai conflitti in Iraq e in Afghanistan non si era mai arrestata.

Oggi la Storia abbatte altri muri, per mezzo di missili e colpi di cannone, sulle sponde del fiume Dnepr, lì dove prima Napoleone e poi Hitler tentarono senza riuscirvi di impadronirsi della Russia. Giusto 40 anni fa, era il 1983, Christa Wolf, nata e cresciuta nella DDR al di là del Muro di Berlino, pubblicò Cassandra, romanzo ispirato alla figura della figlia di Priamo scritto nel contesto di un mondo bipolare nel quale da una parte come dall’altra ci si armava con dispositivi in grado di azzerare l’Umanità: i missili Pershing e Cruise da una parte, gli SS-20 e SS-21 dall’altra. La Cassandra della Wolf, come quella di Omero, vede ciò che altri non vedono: vede la rovina, il sangue, l’annichilimento. Per questo chiede la pace, ma nessuno l’ascolta: viene anzi sospettata di connivenza con il nemico, esattamente come accade oggi. E mentre  sotto forma di bunker e fortificazioni  e barriere nuovi muri vengono edificati non solo in Europa, intanto che l’eco delle esplosioni che sbriciola intere città arriva fino a noi, altri muri si ergono a dividere il tessuto sociale.

È, la nostra, l’epoca della polverizzazione: chino sul proprio Io ridotto ai minimi termini dello schermo che tiene in mano, l’appartenente alla Specie umana si nutre dell’illusione di poter comunicare in tempo reale con chiunque, e al contrario si ritrova sempre più solo. L’idea stessa di solidarietà pare essersi eclissata: e non si tratta solo degli effetti del narcisismo assecondato e indotto dalle nuove tecnologie. Complice la nota pandemia, ci si è chiusi tra le mura di casa. E l’isolamento patito  durante quei mesi, unito alla subitanea caccia all’untore, ha scavato dentro di noi una sorta di fossato difensivo colmo di paura. Per paura ci si è divisi, accusandosi a vicenda, sordi alle ragioni o ai dubbi dell’altro, incapaci di mettersi in ascolto, pronti a giudicare e condannare.

Nuovi muri sono spuntati dappertutto, non solo tra Paesi ma anche attorno e perfino dentro di noi, a dividere, frammentare, parcellizzare. Lo si è fatto in tema di diritti, in un’incessante, insensata lotta tra ultimi e penultimi e ultimi tra gli ultimi, intanto che dal discorso pubblico spariva un tema che al contrario dovrebbe essere centrale, quello del lavoro. Non è forse un muro altissimo e invalicabile quello che oggi divide le generazioni? Da una parte i cosiddetti privilegiati, coloro che per motivi anagrafici ancora incredibilmente godono di diritti conquistati con fatica, sacrifici e lutti nel corso dei secoli passati da chi storicamente è sempre stato sfruttato; dall’altra coloro che quei diritti si sono visti via via sottrarre fino a vederli azzerare, grazie alla chimera di un precariato rivenduto come forma di libertà che invece impedisce ai più di immaginarsi, costruirsi un futuro. È al di là di quel muro il futuro delle nuove generazioni, di un paese come Neoneli e di una Nazione come l’Italia. Un Paese che non investe nei giovani è per definizione senza futuro. Ma è proprio di futuro che abbiamo bisogno: un futuro che va costruito giorno dopo giorno nel nostro presente, senza dimenticare le lezioni del passato.